domenica 13 aprile 2014

Ai bagni a Baden nel 1909

La nonna Hildegard von Rupprecht, Hilda in famiglia, in queste foto è ai bagni a Baden. Dietro ad una delle immagini c'è scritto August 1909, la nonna quindi aveva vent'anni. In una la individuo nella penultima a destra nell'altra nell'ultima a destra. Lei e le sue amiche sono tutte in bianco. Giovani e leggiadre. Si intuisce il cado di un agosto di oltre cent’anni fa.
Hilda von Rupprecht seconda da destra

Hildegard von Rupprecht prima da destra

Le foto sono molto piccole, ma qualcosa ora si può fare.




Scrivo a mio padre: “Ma tu sei mai stato a questi bagni a Baden? Nel libro di Evi ci sono belle pagine su questa piscina termale”. E mio padre non si fa attendere: “Sono stato allo Strandbad (bagno con spiaggia) a Baden durante la mia lunga permanenza colà dopo la maturità (1952). La piscina, abbastanza vasta, era racchiusa da una grossa area di sabbia riportata, dove la gente prendeva il sole: Sicuramente esiste tuttora, ci sono passato quando andai a Baden da solo, un paio di estati fa, per la riunione di famiglia”.

Nel bel libro di Evi From Yesterday to Tomorrow c’è un passaggio molto carino sui bagni termali di Baden.




Inserisco qui un paio di pagine del libro di Evi.


Evi parla della fonte, che ancora esiste a Baden ma è cambiata in molti aspetti. Non è cambiata l’acqua, che viene da una sorgente sulfurea per cui Baden è famosa. “Quando ero bambina – scrive Evi – i bagni erano divisi in due grandi piscine, una per le signore e una per gli uomini. La divisione era costruita come un ponte da cui solo lo staff poteva passare e guardare le due piscine. Quando provavamo ad andare dal nonno venivamo cacciati via ed ammoniti. La nonna, mia madre, io, alcune cugine e le zie eravamo tutte insieme nella piscina delle donne. C’erano cabine per cambiarsi intorno alla piscina, che potevano essere prese per tutto il giorno o per il periodo preferito”. Evi parla anche dei costumi da bagno e di come imparò a nuotare.
Penso e ripenso. 


Anche io amo andare alle terme. Non ci sarà una predilezione genetica in questa passione per l’acqua sulfurea?

sabato 5 aprile 2014

Ancora Carola

Alcuni vengono a trovarmi più spesso. Carola è tra questi. Eccola nella foto. Per avere certezze scrivo a mio padre: “È Carola?” la risposta è immediata: “Sicuramente sì”. È una donna ancora giovane, che non riesce a sorridere.

Carola von Rupprecht

Sto leggendo il bel libro di Evi From Yesterday to Tomorrow, ricco di memorie. Devo dire che è appassionante, tenero e emozionalmente forte, romantico ma temprato da una componete ormai acquisita di understatement britannico.

 il libro di Evi
E molte pagine sono anche per Carola. Evi racconta che era nata a Pola nel 1881 ed era la classica bellezza. Sposò Armin von Oppolzer, che stette 17 anni in sanatorio spegnendosi lentamente per la sifilide. Le immagini che li ritraggono prima delle difficoltà sono bellissime.

Carola ed Armin

Carola von Rupprecht

Dopo aver venduto il castello e le proprietà ed aver speso una considerevole fortuna per curare Armin, Carola perse il suo ultimo denaro con la prima Guerra mondiale. Venduti tutti i gioielli e quanto ancora aveva, imparò a scrivere a macchina e nonostante fosse una signora di mezz’età trovò lavoro come segretaria. Nonostante questo – scrive Evi - non perse mai il suo aspetto regale le sue maniere cortesi.

Mio padre ed Evi ogni tanto tornano tra loro al tedesco. La questione è il castello di Neuhaus Draueck di Armin. Evi manda una mail: “Ich habe noch etwas gefunden. Das ist der Schlosshof von Schloss Neuhaus in Kaernten. Schaut sehr gemuetlich aus .......”, ossia “Ho trovato qualcosa.  Questo è il cortile del castello di Neuhaus in Carinzia. Sembra molto accogliente .......” e mio padre risponde “Vielen Dank!”, “Grazie mille”.

Il cortile del castello di Neuhaus Draueck in Carinzia


sabato 29 marzo 2014

In Olanda

L’Olanda è sempre stata di casa in famiglia. La madre della bisnonna Rudolfine era olandese. E poi nei ricordi e nei racconti c’è sempre uno spazio per Tante Baukje. È stata lei la fotografa di mio padre bambino secondo il racconto di Evi. Aveva una grande auto, era una buona fotografa e mia madre ha sempre detto che era molto materna. Scrivo a mio padre:  “Dimmi di Annie Baukje. Quando sei stato da lei? Che cosa faceva? Devo ricordarmi di chiedere a mamma che cosa vi regalò per il matrimonio”.


Mio padre non si fa attendere. “Nella foto io sto con Zia Baukje e Anneke van Nispen, la sua amica che, con il marito che si chiamava credo Jan, condivideva la villa di Heemstede, dove fui ospite nel 1957, dopo che avevo passato qualche mese in Germania lavorando nella fabbrica Gebhard Balluff di meccanica di precisione, presso Stoccarda, dove avevo già fatto l'operaio nel '55. 

Renato Ferraro di Silvi e Castiglione, Anneke van Nispen e Annie Baukje

Mi ero laureato nel marzo di quell'anno. Jan era un ex ufficiale dell'Esercito olandese, ora lavorava in un ufficio governativo non so più di che. Anneke era stata la capa suprema delle girl-scouts olandesi. Jan era un uomo divertentissimo, con lui sono andato qualche volta a caccia. Stando là, trovai lavoro in una casa produttrice di bulbi, che impacchettavo. La ditta si chiamava Gebroeders van Zanten: eravamo tutti studenti (o ex, nel mio caso) che lavoravano lì per l'estate”.

“Baukje – aggiunge mio padre - si chiamava Baukje Haarmens. Baukje è un vezzeggiativo di Baudine (Baldovina). La Zia cui lei faceva da dama di compagnia si chiamava Annie Wueste. Baukje aveva un fratello maggiore, alla cui morte mi mandò i suoi vestiti che mi feci aggiustare da un ‘sartulillo’ napoletano”. Baukje dalla foto è alta e prosperosa. Ha mani grandi ed un sorriso schietto.

“E in questa immagine? Riesci a capire che cosa è scritto dietro? Era l'Olanda degli anni 30. Le tragedie della guerra dovevano essere ancora lontane”.

Annie Haarmens e Annie Baukje

“Nella foto ci sono a destra Baukje e Annie Wueste a sinistra, che era non so come imparentata con i Rupprecht. Sul retro della cartolina c'è scritto: "Pentislaem Bentveld (immagino sia la località da dove scrivevano), Estate 1931, Zia Annie - Baukje", e al posto dell'indirizzo: "Con tanti auguri per un felice anno nuovo 1932" (auguri alquanto prematuri se inviati nell'estate 1931!)”. Dal libro di Evi mi sembra di capire che la Zia Annie, cui Bukje faceva da dama di compagnia, fosse anche lei una Wueste”.


“Mi hai anche chiesto che regalo ci fece Zia Baukje al nostro matrimonio: una discreta somma in contanti (né Mamma né tanto meno io - figurati! - ci ricordiamo quanto, ma certo notevole) che lei disse che avrebbe voluto lasciarmi in eredità. Ma poi aveva pensato che ci potesse far piacere allora per impiantare la famiglia”. Insisto e chiedo a mia madre. Anche lei non ricorda la cifra precisa, ma mi dice: “Con il suo regalo comprammo una lavatrice e la cucina”. 


sabato 22 marzo 2014

A Sud con i Borboni

“Gentile Barone Cosenza,
il Signor Giuseppe Peluso di Pozzuoli, cultore di storie patrie, mi ha dato notizie della cosiddetta 'congiura del Barone Cosenza', di cui ambivo sapere qualcosa di più di quel pochissimo che sapevo; e per questo gli sono molto grato.

Ho pensato che possa interessarLe quanto risulta a me, per tradizione familiare. A tale congiura prese parte (non so con quale ruolo: egli era uomo di legge e non d'armi) il mio bisnonno Francesco di Paola Ferrara (poi Ferraro), Avvocato e Consigliere Particolare del Re (Dio guardi!). Per tale sua partecipazione fu arrestato e detenuto nelle allora carceri di San Francesco fuori Porta Capuana, edificio poi adibito a Pretura Unificata (prima esistevano le Preture Mandamentali distribuite nell'ambito cittadino). Ricordo di aver avuto per le mani, da ragazzo, una piantina del carcere con l'indicazione della cella di detenzione del mio avo: ora penso che forse essa era stata redatta in vista di una possibile evasione. Non so se questo documento (informale) esista ancora nel mio disordinatissimo archivio. Egli fu poi discriminato, non so se per assoluzione od amnistia, e tornò a fare l'avvocato, libero professionista.

Certo è che i discendenti di ‘Nonno Ciccio’, tra cui mio Padre, rimasero sempre fedeli alla memoria dei Borboni, ed ancora quando ero piccolo (anni '40), per qualunque cosa non funzionasse - e già allora ce n'erano tante, a Napoli! - mio Padre (anche lui avvocato) esclamava: ‘'A quanne è venuto 'on Peppino Caribalde a Napule nun funziona niente cchiù!’

Mio Suocero, Avvocato Tommaso Siciliano, che era un buon storico, anche lui di nostalgie borboniche, non è riuscito a sapere molto di più: il suo e mio convincimento era ed è che forse volutamente siano state soppresse tracce di questa vicenda”.

Il messaggio di mio padre è dello scorso anno. È una mail semplice diretta all'ultimo discendente di una congiura dell’aprile del 1862. Una congiura organizzata quando tutto era già perso. E noi con nonno Ciccio eravamo della partita. Dalla parte dei Borboni.

Francesco di Paola Ferrara

Il barone Cosenza risponde a stretto giro. “Caro Renato, in merito al mio avo, c’è abbondante documentazione anche inedita, su internet. Puoi trovarla sia nell'associazione neoborbonica, dove se ne racconta la carriera militare, le battaglie e la strenua resistenza all'invasore piemontese. Sia su internet, digitando ‘barone Achille Cosenza’. Troverai le rivolte che preparava ,assoldando varie bande di briganti e tutti gli atti processuali, inoltre vari testi inediti e varia documentazione segreta proveniente dall'Inghilterra. Troverai anche i nomi degli avvocati che lo difesero”.

Il discorso continua via web. Mio padre chiede al barone come si chiami e dove viva. “Noi siamo originari di Napoli – scrive in risposta- con feudi nella provincia di Cosenza. Io vivo tra Lecce, Bari e Roma. Spesso sono a Manduria, dove ho ereditato l’azienda vitivinicola di mia madre, i conti Stendardo di Mesagne. Il mio nome è Milo”. E la cosa va avanti. “Caro Milo – dice mio padre - ma figuraTi che anche i Ferrara (poi Ferraro) avevano addentellati a Manduria, in particolare il Cardinal Ferrara, al quale è intestata una strada. Io vivo a Roma: quando Ti trovi a passare, sarei felice di incontrarTi, e magari di averTi a pranzo o a cena”.

Cerco notizie del barone Achille Cosenza. Provò a dar vita ad una insurrezione per la fine di aprile del 1862, ma fu arrestato prima perché la congiura fu scoperta per una delazione. Processato e condannato, riuscì ad evadere e a rifugiarsi a Roma, da dove continuava a tramare.

In realtà la ‘resistenza borbonica’, con centro nevralgico di lotta a Palazzo Farnese a Roma, pare che non fosse proprio rose e fiori. Beghe interne, interessi specifici per le sostanze di Francesco II da parte di agenti venali, lotte tra fazioni, pochi collegamenti strutturati con l’estero. Memorie più o meno lucide e di parte raccontano di grande confusione nei disegni. Così per esempio le memorie politiche del Cavalier Luigi Mira. Il barone Achille Cosenza è personaggio centrale anche dopo la fuga a Roma come emerge in più testi. Secondo la Trecani aveva un suo buon seguito. E non solo di bande di briganti, come emerge dalla congiura di Frisio. Insomma, a favore dei Borboni non ci sarebbero state solo bande di disperati, ma anche larghe fasce di gentiluomini.

Mio padre mi ripete: “Non so Nonno Ciccio quanto tempo sia stato recluso nel carcere di San Francesco fuori Porta Capuana (poi diventato Pretura Unificata di Napoli). Avevamo una pianta del carcere da cui risultava la sua cella, ma chi sa che fine ha fatta. Fu scarcerato per proscioglimento. Credo di sicuro che fosse stato prosciolto”.

Certo a distanza di tanti anni non è ancora tutto pacificato. Trovo in rete bande di nostalgici, come i Comitati delle Due Sicilie, che sottolineano “Non siamo un partito, siamo una Nazione”.  Scrivo anche io al barone Milo Cosenza per usare lo scambio epistolare. E mi dice: “Se vuoi visionare un po’ della mia storia puoi vederla su Facebook a ‘barone Milo Cosenza’".


22 marzo, ultima delle Cinque giornate di Milano

Il taxi va a passo d’uomo. Lo sciopero del trasporto pubblico a Milano rende tutto più lento. E io andando all’aeroporto posso guardare i negozi e le strade. Giornata primaverile e tiepida quella di mercoledì 19 marzo a Milano. Il cartello della strada mi cattura: Via XXII marzo, ultima delle Cinque giornate di Milano. Dev’essere una congiuntura astrale quella per cui quest’anno mi trovo costantemente a contatto con le Cinque giornate. Sul web si trovano rapidi riscontri su Wikipedia e racconti più analitici con i fatti raccontati giorno per giorno. A Milano di anno in anno diventa sempre più un momento da ricordare. Anche per agganciarci qualche iniziativa non necessariamente storica. E così Farinetti ha deciso di aprire Eataly, il ‘Risorgimento del cibo’, proprio il 18 marzo e di festeggiare per cinque giorni.


Oggi, secondo giorno di primavera e ultimo delle Cinque giornate, provo anche io ad essere in linea. Metto in rete l’immagine dell’avo Torresani, il capo della polizia austriaca, che mi ha inviato mio fratello. È una stampa da 'Storia di Milano' della Treccani. È stata rintracciata facendo ricerche in biblioteca da sua moglie.

Carlo Torresani

È la stessa del ritratto che gira in famiglia.

Carlo Torresani

sabato 15 marzo 2014

Una nuova ipotesi per l’album di Dori – la mappa dei Wueste



“Ricordati da chi viene l’album”, mi ripete mio padre. Domenica sera, a casa dei miei genitori facciamo il punto sulle ultime scoperte. E ora che il quadro è completo scopriamo che l’ipotesi di partenza è sbagliata. E dobbiamo ricominciare daccapo. “Beh l’unica vera certezza – gli dico – è che l’album è di Dori”. Abbiamo provato, per esempio in Dori e il suo album e nella mappa dei Rupprecht, anche con l'aiuto di Evi a dare un nome a tutti di avi nelle foto.



La novità è che mio fratello ci ha portato l’Ahnenpass di Christel, la sorella della nonna. Christel, ossia Christine Rupprecht von Virtsolog, non era nazista ma era bibliotecaria e quindi per continuare a lavorare si dovette fornire del l’Ahnenpass, il passaporto che certificava il suo essere ariana da generazioni e generazioni. E che cosa scopriamo? Che Friedrich Rupprecht von Virtsolog nonno di Christel, per intenderci il patriarca centrale dell’album di Dori, NON era nato nel 1819 ma nel 1822. Ora, visto che la raccolta di foto è per festeggiare i settant'anni del patriarca e che sulla copertina c’è l’indicazione 1889, abbiamo dato per assodato che al centro in basso ci fosse proprio lui. Ma i conti non tornano perché nel 1889 non aveva settant'anni.


E invece c’è qualcuno che nel 1889 festeggiava i settant'anni ed è indicato nell’Ahnenpass di Christel. È Heinrich Rudolf Friedrich Wueste, nato il 24 gennaio del 1819 a Quakenbrueck in Bassa Sassonia. E allora cambia tutto. L’album è rimasto in casa Wueste, come mi ricorda mio padre. E la somiglianza tra l’immagine e la fotografia che conserviamo di Friedrich Rupprecht von Virtsolog padre ci sembra sparire di colpo. L’uomo dell’album ha trasparenti occhi chiari, mentre Friedrich Rupprecht nell'immagine da giovane ha occhi scuri. Certo parliamo di foto della fine dell’800…Si tratterebbe sempre del bisnonno di mio padre, ma sarebbe il padre della nonna e non del nonno.

Heinrich Wueste e non Friedrich Rupprecht von Virtsolog


Friedrich Rupprecht von Virtsolog, bisnonno di mio padre, da giovane

E se il gentiluomo al centro è Heinrich Wueste la dama sopra non può essere Carolina Torresani, ma è probabile che sia sua moglie. Dall’Ahnenpass di Christel si chiamava Luise Sara Gockel, nata ad Amsterdam il 23 agosto del 1825. E tutto avrebbe un senso, visto che le due ragazze sulla sinistra sono Luise e Johanna Wueste e i due giovani a destra i loro mariti, Friedrich e Karl Rupprecht von Virtsolog. Certa resta un mistero chi siano l’uomo e la donna in alto, ma la nuova mappa non toccherebbe le immagini della seconda pagina, che resterebbero i nipoti indicati da Evi.


Luise Sara Gockel e non Carolina Torresani

Ancora Risorgimento. Le Cinque Giornate a Milano e la Brigata Rupprecht

Su La Stampa trovo uno splendido pezzo di Antonio Scurati su ‘Le Cinque Giornate di Milano, l’epopea della barricata’, solo in parte disponibile sul web liberamente. Contro ogni previsione l’esercito più agguerrito dell’epoca fu piegato. Non c‘è traccia di Torresani, l’avo capo della polizia austriaca, ma è un’ulteriore prova della capacità di stare con chi perde anche quando è proprio difficile che accada. Cito testualmente Scurati. “Le possibilità di successo dell’insurrezione erano talmente remote da rendere la vittoria degli insorti un accadimento estraneo al corso degli eventi. Di lì a cinque giorni, però, quella vittoria accadde”. E ancora: “La formidabile macchina da guerra eseguiva gli ordini del Maresciallo Radetzky, un comandante leggendario, un anziano patriarca intagliato nel mogano che nei suoi vigorosi ottant’anni d’età ricapitolava la sapienza marziale di un’intera epoca”. E questi erano quelli del barone Torresani. E chi c’era dall’altra parte? Scurati è netto: “a questa forza d’occupazione preponderante, Milano poteva opporre una popolazione civile disusa alle armi da quasi due generazioni, un’organizzazione a dir poco fantasmatica e un armamento che, alla vigilia della rivolta, non arrivava a trecento fucili efficienti”. Non basta. “In quei cinque giorni, una banda di liceali e di vecchi reduci delle campagne napoleoniche, di aristocratici e di operai, di socialisti atei e di devoti seminaristi, di uomini e donne, caricò e travolse le legioni dell’impero. L’aquila bicipite degli Asburgo fu abbattuta a sassate”.

È il quadro delle Cinque Giornate di Milano. Ricevo intanto una mail da mio padre che mi dice: “nel romanzo Ottocento di Salvator Gotta (che però non ho letto) so che si parla di una ‘Brigata Rupprecht’ impegnata in una battaglia contro gl'Italiani non so in quale guerra d'indipendenza”. Avrei dovuto immaginarlo…