venerdì 17 aprile 2009

VIP passage

“Oh buongiorno, lei è già qui?” Sono le 8 e la hall del hotel a Mosca è grande come la piazza di un paese. Quasi nessuno in giro. Un solo uomo armeggia dietro il bancone della reception che in genere ne prevede cinque. “Venga a fare colazione con me, non aspetti qui da sola”. Guardo Svetlana. È seduta in un angolo di uno dei divani. Il cappotto nero abbottonato, i capelli biondi legati a coda, gli occhi chiarissimi leggermente truccati dietro gli occhiali dalla montatura scura. “È arrivata davvero presto, dobbiamo andar via solo alle 8,30”. “È vero sono arrivata un po’ prima – mi risponde sistemandosi meglio ma sempre in uno spazietto davvero piccolo di questo grande divano – ma il traffico a Mosca è tremendo, se non fossi arrivata qui alle 7,30 non avrei avuto la certezza di essere in tempo. Dalle 8 in poi non si possono più fare previsioni. Ci può volere un tempo infinito per qualunque spostamento”. “Venga a prendere almeno un caffè” insisto. “No, grazie, vi aspetto qui”.

Svetlana è la nostra bacchetta magica – del capo e di conseguenza anche mia - per il VIP passage all’aeroporto di Mosca. Dopo aver attivato una complessa procedura devi aver qualcuno che paghi per te cash appena sei partito. Ha due lauree e parla quattro lingue. Lavora da molti anni a Mosca per un’impresa italiana.

Facciamo colazione e partiamo. “Quando sono stato qui a giugno scorso – le dice il capo - fu sempre lei che tanto gentilmente mi accompagnò per evitare le lungaggini all’aeroporto”. Il capo ed io siamo seduti dietro in macchina. Svetlana è davanti, vicina all’autista. Parliamo del più e del meno. “Mosca è molto inquinata. Non avevo mai pensato quanto potesse essere importante avere aria pulita e verdura buona prima di avere una figlia. Ho una bambina di poco più di 6 anni. È molto allergica ed anch’io con il passare del tempo comincio ad avere reazioni pesanti. E lei ha figli?” “Sì – le rispondo – anche io ho una piccolina”. Il capo accenna ai suoi tre nipoti per essere in linea. “Abbiamo comprato una casa in campagna ad un’ora da Mosca. Lì è bellissimo e l’aria è magnifica”. “Ma d’inverno farà un freddo cane – dice il capo – e poi certo non potete andare e venire”. “No certo. L’inverno è bellissimo, tutto bianco. Ma noi siamo qua con il lavoro e poi la bambina il prossimo anno comincia la scuola. Qui si va a sette anni compiuti”.

Fermi nel traffico parliamo tranquilli di pezzi delle nostre vite. Dopo qualche minuto di silenzio Svetlana si volta verso il capo: “Posso chiederle una cosa?” Ci ho fatto l’abitudine. A un certo punto le persone hanno qualcosa da chiedere al capo. Faccio finta di niente, resto lì tranquilla ed è come se mi smaterializzassi. Il capo è inchiodato al sedile della macchina, è chiaro che non potrà non sentire questa accorata richiesta. E poi comunque è un uomo tranquillo, timorato di Dio e fin troppo abituato a gestire il potere. “Ma certo, mi dica”. “È solo un’idea – comincia Svetlana – ma lei pensa che sia difficile trovare lavoro in Italia? Sa, pensavamo che magari per un periodo potrei venire con mia figlia. Lei ha tanto bisogno di sole, di aria pulita e di verdure fresche”. “Per lei non dovrebbero esserci problemi. Ma suo marito che cosa fa?” Il capo è concreto: una cosa è spostare in Italia una persona che già lavora per te a Mosca, ben altra trovare una sistemazione a tutta una famiglia. “Mio marito è commercialista, ma ha una sua attività. Compra macchine incidentate, le mette a posto e le rivende. Ma lui non può lasciare Mosca. È solo un’idea, ma pensavamo che per un periodo potessimo venire in Italia mia figlia ed io”. Il capo è un uomo di una certa età e conosce il mondo: “Ma certo non può pensare di mandare avanti una famiglia e di tenerla unita stando lei in Italia e suo marito a Mosca”.

Arriviamo all’aeroporto di Sheremetyevo. Il VIP passage prevede di poter aspettare in una saletta tutta per noi. Tra una telefonata di lavoro, un caffè e chiacchiere informali, il tempo vola. Ci chiamano. Dobbiamo andare. Svetlana ci accompagna ai controlli. Pensavamo di avere una guida per il VIP passage, senza capire che il VIP passage per lei eravamo noi. Svetlana conta su un passage ben più importante. Arrivati all’ultimo controllo le stringo forte la mano: “Spassiba, dasvidania”. Il capo mi guarda: “Ma che fa parla russo?” “Ma no – lo rassicuro - solo grazie e arrivederci, due parole per essere gentile”.

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