venerdì 24 aprile 2009

Ancora in centro a Milano. Incontro Silvia. Ma vedere i prodromi di un’amicizia ti allunga la vita?

“E noi eravamo lì. Lui ed io per sposarci, i pochi che erano venuti dall’Italia, i pochissimi che lo accompagnavano e questa autorità indiana molto più impegnata a mettere a punto il seggio elettorale che ad occuparsi delle nostre nozze. Immaginati che in India le elezioni sono totalizzanti. E noi lì, in un quasi seggio, a sposarci”. Guardo Silvia e non posso fare a meno di dirle: “Una cosa tipo il mio strano e mitico matrimonio indiano?”. Mi risponde sorridendo: “Sì, tipo. Anche se il bello doveva ancora venire. Lui mi aveva chiesto di fare anche una piccola cerimonia religiosa, ma una cosa piccola piccola. Sai, ha tre fratelli tutti sistemati secondo le regole. Matrimoni combinati, insomma. E poi arrivo io. Più grande, italiana. Beh mi chiede se posso venire incontro ai suoi genitori. Io dico di sì, e qui si aprono i titoli di testa di un film di Bollywood. Non ti descrivo la cerimonia religiosa, ne’ quanto è durata. Lascio tutto alla tua fervida fantasia”.

Di nuovo a Milano, incontro Silvia. Sera di fine aprile, mangiamo fuori e dentro l’Hostaria Borromei (
http://www.hostariaborromei.com/). Bel cortile nella Milano del ‘600. Partiamo con un aperitivo fuori, ma viene a piovere e dobbiamo continuare dentro. Parliamo un po’ di lavoro. Non so come siamo arrivate a parlare di fatti davvero privati. Ma ci siamo e la cosa viene naturale.

“Non pensavo di sposarmi, prima. E invece poi è stato normale. Non è che dici ‘ti andrebbe di venire a convivere a Milano da Bombay?’ e la risposta non può essere ‘ma, forse meglio venga tu qui da Milano’”. “Assolutamente d’accordo – convengo – quelli che si piccano di non sposarsi non hanno sostanziali problemi. Quando Gianfranco è stato davvero male, il fatto che ci sposassimo ha dato una mano effettiva. Ma a tuo marito piace stare in Italia?” Lo dico per fare una domanda facile e stemperare la profondità. “Ma guarda sinceramente non lo so. Ha fatto cose molto diverse dopo essersi laureato. Ora si occupa di import-export di gioielli tra l’India e l’Europa. E comunque ci sono metri di giudizio diversi. Pensa che lui viveva da solo a 13 anni ed era già assolutamente autosufficiente”. “Scusa, come solo? Non mi hai detto che ha una famiglia, che è anche una buona famiglia?” “Sì, certo. Ma per fare le medie non si poteva fare altro che mandarlo in un posto più grande. Così a 13 anni aveva una sua casa, una sua vita, si amministrava. Ha un pacchetto di strumenti per essere in grado di gestire l’eccezione, e come fai a sapere se gli piace stare in Italia o anche questa è un’eccezione?” Ceniamo e parliamo di lavoro, ma anche di aspetti molto privati. E pensare che poi in fondo sono un po’ misantropa e non è che sempre mi venga proprio naturale mettere in piazza i fatti miei. Ma c’è un punte con Silvia. E anche bello solido.

Finiamo e usciamo. “Io ho bisogno di camminare un po’”, le dico. “Ma sì, ti accompagno in albergo e prendo un taxi”. Camminiamo la sera in centro. Piazza Duomo, poi giriamo a destra, sempre parlando. Davanti all’hotel ci abbracciamo per salutarci. “Poi magari compro qualche gioiello da tuo marito”. “Perché no, che cosa ti piace?” “Ma non lo so, ci devo pensare”.

Poi la mattina dopo apro Repubblica e trovo un’intera pagina dedicata all’amicizia, che fa star bene e allunga la vita. “Forti legami sociali possono migliorare le prestazioni cerebrali mano a mano che si invecchia”. E ancora “Chi ha veri amici ha meno probabilità di prendere anche il comune raffreddore, forse perché ha livelli inferiori di stress”. Pupi Avati nell’intervista di spalla è però scettico: “Difficile da adulti trovarne uno”. La sua posizione è che dopo una certa età non ci sarebbero più margini per costruire nuove amicizie. Ma tra gli asparagi all’agro e il baccalà con i ceci io ho letto i prodromi di una nuova amicizia. Ora io non so se mi allungherà la vita, ma certo potrebbe compensare la solida massa di arrabbiature che congiura ad accorciarmela.

venerdì 17 aprile 2009

VIP passage

“Oh buongiorno, lei è già qui?” Sono le 8 e la hall del hotel a Mosca è grande come la piazza di un paese. Quasi nessuno in giro. Un solo uomo armeggia dietro il bancone della reception che in genere ne prevede cinque. “Venga a fare colazione con me, non aspetti qui da sola”. Guardo Svetlana. È seduta in un angolo di uno dei divani. Il cappotto nero abbottonato, i capelli biondi legati a coda, gli occhi chiarissimi leggermente truccati dietro gli occhiali dalla montatura scura. “È arrivata davvero presto, dobbiamo andar via solo alle 8,30”. “È vero sono arrivata un po’ prima – mi risponde sistemandosi meglio ma sempre in uno spazietto davvero piccolo di questo grande divano – ma il traffico a Mosca è tremendo, se non fossi arrivata qui alle 7,30 non avrei avuto la certezza di essere in tempo. Dalle 8 in poi non si possono più fare previsioni. Ci può volere un tempo infinito per qualunque spostamento”. “Venga a prendere almeno un caffè” insisto. “No, grazie, vi aspetto qui”.

Svetlana è la nostra bacchetta magica – del capo e di conseguenza anche mia - per il VIP passage all’aeroporto di Mosca. Dopo aver attivato una complessa procedura devi aver qualcuno che paghi per te cash appena sei partito. Ha due lauree e parla quattro lingue. Lavora da molti anni a Mosca per un’impresa italiana.

Facciamo colazione e partiamo. “Quando sono stato qui a giugno scorso – le dice il capo - fu sempre lei che tanto gentilmente mi accompagnò per evitare le lungaggini all’aeroporto”. Il capo ed io siamo seduti dietro in macchina. Svetlana è davanti, vicina all’autista. Parliamo del più e del meno. “Mosca è molto inquinata. Non avevo mai pensato quanto potesse essere importante avere aria pulita e verdura buona prima di avere una figlia. Ho una bambina di poco più di 6 anni. È molto allergica ed anch’io con il passare del tempo comincio ad avere reazioni pesanti. E lei ha figli?” “Sì – le rispondo – anche io ho una piccolina”. Il capo accenna ai suoi tre nipoti per essere in linea. “Abbiamo comprato una casa in campagna ad un’ora da Mosca. Lì è bellissimo e l’aria è magnifica”. “Ma d’inverno farà un freddo cane – dice il capo – e poi certo non potete andare e venire”. “No certo. L’inverno è bellissimo, tutto bianco. Ma noi siamo qua con il lavoro e poi la bambina il prossimo anno comincia la scuola. Qui si va a sette anni compiuti”.

Fermi nel traffico parliamo tranquilli di pezzi delle nostre vite. Dopo qualche minuto di silenzio Svetlana si volta verso il capo: “Posso chiederle una cosa?” Ci ho fatto l’abitudine. A un certo punto le persone hanno qualcosa da chiedere al capo. Faccio finta di niente, resto lì tranquilla ed è come se mi smaterializzassi. Il capo è inchiodato al sedile della macchina, è chiaro che non potrà non sentire questa accorata richiesta. E poi comunque è un uomo tranquillo, timorato di Dio e fin troppo abituato a gestire il potere. “Ma certo, mi dica”. “È solo un’idea – comincia Svetlana – ma lei pensa che sia difficile trovare lavoro in Italia? Sa, pensavamo che magari per un periodo potrei venire con mia figlia. Lei ha tanto bisogno di sole, di aria pulita e di verdure fresche”. “Per lei non dovrebbero esserci problemi. Ma suo marito che cosa fa?” Il capo è concreto: una cosa è spostare in Italia una persona che già lavora per te a Mosca, ben altra trovare una sistemazione a tutta una famiglia. “Mio marito è commercialista, ma ha una sua attività. Compra macchine incidentate, le mette a posto e le rivende. Ma lui non può lasciare Mosca. È solo un’idea, ma pensavamo che per un periodo potessimo venire in Italia mia figlia ed io”. Il capo è un uomo di una certa età e conosce il mondo: “Ma certo non può pensare di mandare avanti una famiglia e di tenerla unita stando lei in Italia e suo marito a Mosca”.

Arriviamo all’aeroporto di Sheremetyevo. Il VIP passage prevede di poter aspettare in una saletta tutta per noi. Tra una telefonata di lavoro, un caffè e chiacchiere informali, il tempo vola. Ci chiamano. Dobbiamo andare. Svetlana ci accompagna ai controlli. Pensavamo di avere una guida per il VIP passage, senza capire che il VIP passage per lei eravamo noi. Svetlana conta su un passage ben più importante. Arrivati all’ultimo controllo le stringo forte la mano: “Spassiba, dasvidania”. Il capo mi guarda: “Ma che fa parla russo?” “Ma no – lo rassicuro - solo grazie e arrivederci, due parole per essere gentile”.

giovedì 9 aprile 2009

Vodka al Cafe Pushkin e riso pilaf da Barashka. Tutto in centro, ad un passo dalla Piazza Rossa.

“Vodka”. Guardo il fascinoso giovane cameriere e ripeto: “vodka”. È vestito con abiti d’altri tempi e la luce enfatica gli disegna i lineamenti e i piani del viso. Guarda me e i miei sette compagni di tavolo riuniti dal caso e dal lavoro. Prende le ordinazioni e alla parola vodka si ferma per chiedere quanta. “Just one” gli rispondo. Ma non gli basta: “One shot or one liter”. Non mi ero proprio posta il problema e invece pare sia normale. Guardo i colleghi e altri tre decidono di buttarsi sulla vodka. Ci accordiamo per mezzo litro, che ci arriva in una caraffa come fosse acqua. Non avevo mai ordinato vodka e forse non lo farò mai più. In realtà non ne ho nemmeno mai bevuta, ma sono a Mosca, non ho visto niente e le probabilità che riesca a ritagliarmi qualcosa più di un’ora nella Piazza Rossa vanno sfumando con il passare delle ore, sono nel miglior caffè-ristorante, è notte inoltrata e come faccio a non ordinare vodka? Due musiciste del locale suonano in un angolo in abito lungo fuori del tempo. Le pareti sono coperte di vecchi libri e puoi ordinare anche caviale nero.

Il Cafe Pushkin è il miglior ristorante di Mosca e un calcio sostanziale al realismo sovietico. Qui è come se il 1917 non ci fosse mai stato. Anche il sito (
http://www.cafe-pushkin.ru/) disegna una dimensione antica, mentre è proprio moderna la fauna che lo abita. Un sacco di russi, per esempio. Al tavolo a fianco una famiglia festeggia alle 11 della sera il compleanno di un bambino, cui è stata regalata una ciambella per il mare. Uno del mio tavolo non resiste e gli scappa : “Sarà uno dei salvagenti della corazzata Potemki”. E poi stranieri, ma non sono la maggioranza. L’atmosfera è strana, antistorica e piacevole. E ci si mangia bene. Un giro può valere la pena (http://www.nessundove.net/2007/10/17/duelli-e-arringhe-per-amore-di-natalia/).

Il giorno dopo negozio due macchine per andare a cena da Barashka (
http://eng.novikovgroup.ru/restaurants/barashka/ ). Mangio riso pilaf con carne e verdura. Un sapore di fondo di oriente si mixa ad una base di Europa. Vengo da un party ai Magazzini Gum. Non ho visto niente tranne la Piazza Rossa, ma qui ci ho messo piede praticamente tutti i giorni, nonostante sia in esilio in un albergone totalmente autosufficiente ai confini della galassia. Se mi dovesse ricapitare di mettere piede a Mosca farò di tutto per andare al Kempinski (http://www.kempinski.com/en/hotel/index.htm?country_group=2&id=25&tab=360&file=8556#5). Ti affacci e oltre la Moscova vedi le mura rosse del Cremlino e le cupole colorate di San Basilio. Non ho visto quasi niente. L’aria di Mosca è acre in gola. In questi mesi avrei molto voluto mettere piede a New York per dare un occhio al centro dell’impero sotto lo stress della crisi. E invece finisco a Mosca. Ma le cupole di San Basilio saldano il conto. E bastano ampiamente per farlo andare in positivo.

sabato 4 aprile 2009

Verso Mosca. Al centro dei preparativi Margherita e il Maestro.

“Avevo una copia del ‘Maestro e Margherita’. Non ho idea di dove sia finita”. Gianfranco mi guarda: “Io ne ho una e so anche dov’è. Anche io quando sono andato a Mosca ho pensato dovevo portarla con me. Te la presto”. Dopo un paio di giorni se ne ricorda, comincia una ricerca disperata da cui esce vittorioso. “Ma è un libro con la copertina rigida – gli dico – il mio era di quelli economici. Me lo ricordo benissimo”. Unica certezza dei preparativi per Mosca, dove devo andare per lavoro 3 giorni, è Margherita e ovviamente il Maestro. “Secondo me devi almeno tentare di fare un giro senza meta, andare nella zona medievale, assistere ad una funzione in una chiesa ortodossa”. Lo guardo senza speranza “Non credo riuscirò a fare nemmeno una di queste cose. Starò chiusa in un posto invece che in un altro e non avrò nemmeno la sensazione di essere altrove. Margherita e il Maestro però vengono con me”.