lunedì 9 febbraio 2009

Al Centro dell’Europa. Tutto in ordine in Lussemburgo.

“Any liquid?” La ragazzotta che me lo chiede sa benissimo che ho dei liquidini nel mio piccolo bagaglio a mano. Dopo la borsa con le carte, la valigetta che mi accompagna è passata dentro la macchina che le ha guardato dentro. E lei una sbirciatina deve avercela data. Le sorrido dicendole che ho piccole cose. È chiaro che non posso non avere con me gli attrezzi di una donna occidentale in giro per lavoro: dentifricio, bagnoschiuma, crema dopo bagno, shampoo, latte detergente, una crema da giorno e una da notte. Ma tutto molto piccolo. Certo non puoi portare mezzo litro d’acqua e quindi nemmeno 500 ml di tonico. Ma anche negli aeroporti dove sono davvero attenti le confezioni piccole passano senza problemi. Non è il liquido in sé a dare problemi ma la quantità. Se non arrivi a una certa dose come puoi preparare un mix per far saltare tutto in volo?

La ragazzotta mi guarda e mi chiede se può aprire. Mentre le rispondo “Of course”, penso che potrei aver lasciato delle forbicine. Forse cercheranno quelle. In tutti gli aeroporti mi hanno portato via forbici. Ora sto più attenta, ma certo posso averle dimenticate. Lei però punta proprio ai liquid. Apre e va dritta alla trousse di toilette. Mi guarda e io le faccio segno che può andare avanti. Tira la chiusura e comincia a cercare. Prende le bottigline e le mette da parte. Si ferma due volte sulla crema idratante. È solida, di liquido non ha proprio niente. Ma alla fine finisce tra i liquid. C’è proprio tutto. Mi guarda. Sono un po’ seccata e non le sorrido più. La ragazzotta si volta, prende una bustina trasparente e ci infila tutte le mie cose. Preme accuratamente sulla semplice chiusura. Non riesco proprio a capire cosa ne farà. Me lo sto ancora chiedendo e la ragazzotta apre la trousse e sistema dentro con precisione millimetrica la bustina trasparente. Poi chiude la borsetta per la toilette e la sistema accuratamente nella valigia, che chiude con attenzione. La guardo e le sorrido. Insomma, tutto in ordine in Lussemburgo. Non è una questione di sicurezza ma di accuratezza. Avrei voglia di invitarla a fare un salto a casa mia a Roma. Delle sere per entrare ci vorrebbe un macete per farsi largo tra libri, carte e giocattoli.

Meno di un giorno in Lussemburgo e poche idee molto confuse. Ho visto solo due alberghi di davvero buon livello, il Royal e il Parc Beaux-Arts. Sono stata ad una vernice interessante. Ho cenato per lavoro in un posto speciale come il Restaurant Clairefontaine. Ma non ho le idee chiare. Mai vista una densità di gioiellerie come qui. Una ogni tre negozi. Almeno in centro. Il mio albergo, il Parc Beaux-Arts, è davvero di charme nel senso migliore. Ma non riesco a capire gran che dello stato delle cose. Un paese da fiaba al centro dell’Europa o il centro dell’Europa che conta travestito da paese da fiaba? Non credo ci si diverta molto, a meno che non si facciano mestieri per cui ci si diverte comunque e dovunque. Come dire: “una noia mortale a meno che non si faccia il faccendiere”? Può essere, ma non mi è chiaro.

sabato 7 febbraio 2009

Alla periferia di una vita disonesta

“Vuoi una spremuta d’arancia? Ne sto facendo una per la piccola. Ne faccio una anche per te?” “No, grazie. Non sai quanta spremuta ho bevuto oggi. Proprio non mi va”. Gianfranco parte sempre da lontano. “Ho cominciato i sopralluoghi per questo film che mi piacerebbe fare. E sono tornato in questo posto incredibile. Una specie di bar – ristorante – taverna in un paese vicino Roma. La gestisce questo tipo che si è ritirato dalla vita attiva. Lui sta lì, fa il ristoratore, ma non ti dico la storia”. “Scusa ma che c’entra con la spremuta?” “Beh, continuava a offrirmi caffè che io rifiutavo. Allora ha deciso che almeno la spremuta dovevo accettarla. E ho cominciato a bere succo d’arancia parlando con lui”.

Conosco i miei polli e allora chiedo: “Scusa, in che pasticci si è messo? Terrorismo o cosa?” “Ma no – mi risponde Gianfranco – direi delinquenza comune. Mi ha detto di aver fatto parte della banda della Maglianella o qualcosa del genere”. “Ah, una cosa tranquilla” provo ad aggiungere.

“Ma la storia più incredibile è che si è tirato fuori per miracolo. E tutto solo per una piccola bambina”. “Raccontami come è andata”. E Gianfranco ricomincia: “Mi sembra di aver capito che lui frequentava ambienti, come dire, un po’ sui generis. Portava avanti dignitosamente la sua posizione di attivo frequentatore della periferia di una vita disonesta. Poi un giorno gli affidano questa piccolina, figlia di amici. Avrà avuto quattro anni. Il padre era finito in galera e la madre a disintossicarsi in uno di questi centri per tossicodipendenti. Insomma lui dice di essersi salvato per accudire la piccola. Mi ha detto: ‘Facevo la vita de na’ donnetta. Facevo spesa, cucinavo, la mannavo a scola, tutto senza famme nota’. E senza sape’ ne’ come, ne’ perché, mi so’ trovato a vive na’ vita normale’. La bambina è stata con lui 8 anni. Poi i padre è uscito dal carcere e l’ha presa con sé. Ma la piccola è stata la sua salvezza”. “E ora, quanti anni ha?” “Mi sembra 16 anni. Lui continua a considerarla un po’ sua figlia. E un po’ la sua fortuna”. C’è qualcosa che non mi torna della sua vita attuale. E allora chiedo: “E adesso com’è che si tiene fuori dai guai?” Gianfranco mi guarda tranquillo: “Deve esserselo chiesto anche lui, perché mi ha detto: ‘Qui me so’ portato mi madre…Se no sarebbe n’ orgia continua’. Deve essersi fatto la domanda e anche dato la risposta”.