domenica 25 gennaio 2009

Periferia di sera – Roma, Tuscolana dal lato del Mandrione

“Scusi per arrivare a Via Columella vado bene di qui?” “Mi sembra che ci passo la mattina col motorino. Ma potrei sbagliarmi. Non lo so”. La giovane donna che sta parcheggiando lo scooter è l’ultimo essere umano che trovo sulla strada. Sono sola. Venerdì sera freddo a Roma. Cammino verso il più scuro e il più deserto. Ogni tanto un cane abbaia. Vado veloce ma non troppo. Se una belva di queste che non si vedono ma si sentono dovesse uscire sulla strada non avrebbe nessuna voglia di inseguirmi perché non corro. A che servirà ripensare ora alla regola che ‘se incontri un leone non devi correre ma camminare lentamente’? Sto ben attenta a restare sul ciglio della strada. Più verso il centro che vicino all’ingresso delle case. Dopo una villetta abusiva viene una palazzina. Poi un bel palazzo popolare anni ’30 con un lato coperto di tubi per una ristrutturazione. Ottant’anni dopo anche una costruzione irregolare e non autorizzata può essere bella. D’altra parte lo scempio edilizio intorno trasforma il decente in magnifico. Poi un campetto abbandonato un po’ spelacchiato.

Forse mi sbaglio ma ho la sensazione che i lampioni diventino più radi. Ogni tanto passa una macchina. E’ un segno di presenza di umani che mi rassicura, ma sposto la borsa con i soldi verso le case e quella con i giornali dal lato della strada. Vado più veloce. Poi sulla destra mi appare una stazione dei Carabinieri. Rallento e assaporo di sentirmi sicura. Anche questo spazio di tranquillità sparisce. Guardo il foglio con la mappa di Google ma non mi trovo. Squilla il telefono: “Gianfranco devo dirti che ho quasi paura. Non c’è un’anima e non so ancora quanto devo camminare. Non pensavo fosse così”. La risposta è tranquillizzante: “Guarda che la zona è davvero tranquilla. Non mi ricordo sia mai successo qualcosa da quelle parti. La conosco bene, ci ho girato un sacco di volte. Io sto arrivando. Un quarto d’ora e sono lì”.

Lo scorrere del tempo di Gianfranco segue percorsi diversi e so che non arriverà alla pizzeria dove sono diretta prima di tre quarti d’ora. Ma averlo sentito mi ha rassicurata. Vedo un ristorante e mi ci fiondo. Apro la porta: “Scusi Via Columella?” “Segua la strada, poi in fondo giri a destra ed è arrivata”. Dentro è semideserto, ma l’ambiente è familiare. Quanto vorrei fermarmi qui. Vado avanti. Arrivo in fondo alla strada e giro seguendo le indicazioni. Sarà un quarto d’ora che cammino e mi sembrano tre ore. A sinistra un muro alto proteggere la privacy dell’indefinibile. Chi sa che cosa c’è dall’altra parte. A destra palazzine di tre, quattro piani.

Continuo a camminare e poi la vedo, la pizzeria-meta. Si devono essere sentiti così Hansel e Gretel quando hanno raggiunto la casetta di marzapane. Mi sembra il posto più bello del mondo mentre apro la porta ed entro. Dentro il locale è grande e caldo. E’ stato una grande falegnameria in una vita precedente. Ora qui si mangia, si beve, si festeggia e si fa il karaoke. “Guarda che mo ce devi fa’ cantà”. Si capisce che è vestita a festa la ragazzina. Il giovane che ha in mano lo scettro del comando, ossia il microfono, ci prova a resistere. “Ma l’amo fatto mo ‘A te’. Nun potemo sempre fa’ Giovanotti”. Chi la dura la vince. Va un’altra canzone. Tempo tre minuti e cinque voci stonate urlano con quanto fiato hanno in gola e sentimento nel cuore ‘A te che sei l’unica al mondo…’.

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