sabato 6 dicembre 2008

Metto mano al guardaroba. Mi libero del superfluo. Per accumularne altro. Ancora più vecchio.

“Devo comprare qualcosa di nuovo. I vestiti mi durano 20 anni e poi alla fine sono sempre gli stessi. Magari la vita un po’ più stretta o le spalle meno strutturate, ma alla fine da un certo momento in poi ho cominciato a mettere sempre le stesse cose”. Jackie traduce nel linguaggio della moda: “Insomma hai consolidato il tuo stile”. Sono perplessa. “Sarà. Certo in inverno uso soltanto scarpe maschili e in estate infradito. Anche quando non andava, ho sempre usato molto il viola. Sai è un po’ stata una reazione a Gianfranco, che lo considera abbastanza disdicevole”. Jackie sorride: “Ma lo sai com’è fatto. Continua a pensare che il viola porti iella”. “Beh ti dirò, una volta mi ha chiesto di non mettere un abito da sera comprato la mattina proprio per la serata. Non era viola, giuro. Ma secondo lui aveva un retrogusto che si sarebbe potuto avvicinare al prugna. Certo era una cena di attori di teatro. Sensibilità quanto mai spiccata per il viola. Forse anche più di Gianfranco. Non misi l’abito, ma per il resto ho sempre usato ed abusato del viola”.

Jackie tenta di riportarmi al concreto: “Che ti serve? Soliti tailleur pantaloni o qualcosa di più divertente?” Ed io: “Ma non lo so. Fai tu. Qualcosa da usare normalmente”. Jackie non è una stilista e non ha una boutique. È un analista finanziario, il miglior analista di bilanci che conosca. Ed è il mio personal shopper. Tanto io detesto andare per negozi – non dirò mai fare shopping perché fa schifo – tanto al contrario lei ha la mappa completa di tutto quello che c’è in circolazione. A Roma e Milano, diciamo. Perché vive nei negozi, quando non lavora o dorme. E lei lavora quasi sempre. Ogni tanto dorme. Poi mi conosce davvero, sa che cosa è adatto al mio spirito oltre che al mio corpo. Per chi le è più vicino è in grado di dare uno sguardo a ciò che è in vendita e di decidere cosa può andare bene. Quando ho bisogno di qualcosa, alzo il telefono, la sento 20 minuti e lei mi dà il quadro aggiornato di dove andare, quando ed anche più o meno di quanto spendere. Fantastico. Non potrei farne a meno. Ogni tanto glielo ripeto “Dovresti trasformare questo talento in un lavoro”. Ma lei nicchia. “E’ qualcosa che riservo solo agli amici. E poi che vuoi che ne sappia di cosa può essere adatto a chi non conosco?”

Insomma metto mano al guardaroba. Se un vestito ti dura 20 anni a un certo punto ti devi liberare del superfluo. Giusto per metterti nella condizione di accumularne altro. Qualcosa di più nuovo e un po’ più adatto al tempo trascorso su di te. Poi le cose sono più o meno le stesse. Così un sabato e una domenica ho smontato tutto. Ho salutato con affetto abiti che mi hanno accompagnato ogni giorno e che da alcuni anni non metto più. Decidere di lasciare alcuni vestiti è stato triste, ma comunque la decisione era presa. Ho messo tutto in una grande valigia e ho cominciato una ricerca su che farne. E ho scoperto un mondo. Siti per scambiarsi le cose – tipo
www.scambiamoci.it il portale del baratto on line, che ha ben 32 categorie e la prima è abbigliamento – mercatini dell’usato, che a Roma possono impegnare anche tutti i week end. Anche senza www.ebay.it, su internet non si fa altro che provare a vendere. Ho fatto anche una piccola ricerca tra chi mi è capitato a tiro. Si organizzano incontri tra amiche e tra colleghe per scambiarsi o vendersi abiti. “Jackie, ma tu che compri vestiti 10 volte più di me, che ne fai?” Mi risponde tranquilla: “Ma sai non mi sono mai posta il problema. Le cose migliori le do a mia sorella, il resto lo porto giù al paese”. E penso alla fortuna delle ragazze del posto d’origine di Jackie cui può toccare in sorte una giacca di Etro di una vera esperta di moda.

Mi guardo in giro, chiedo, continuo a dirmi che devo prendere una decisione. Poi una sera mia madre mi telefona per dirmi che con mio padre hanno in programma un viaggio con parecchi incontri di rappresentanza. La domanda è chiara: “Hai qualcosa da prestarmi?” Va da sé che mia madre ha un guardaroba di cose stratificate in ere precedenti. Ma qualcosa di diverso fa sempre comodo. E piacere. “Ma sì dai, ho messo mano al guardaroba, ho una valigia di cose veramente belle, perché non vieni a provarle?” Tempo tre ore e la camera da letto si trasforma in una sala prove. Le va tutto benissimo ed è molto adatto a lei. I tailleur di taglio maschile le donano e i capelli bianchi sono molto divertenti con abiti da ufficio. Prova una giacca di Guy Mattiolo. Le sta benissimo, ma la piccola non resiste “Nonna mi è sempre piaciuta tanto”. E lei tranquilla: “Ma cara la metterò un po’ e poi la porterai tu”. Insomma regalo tutti i vestiti a mia madre. Ma lei ha già deciso li darà a mia figlia. Tra 10 anni.

Ci penso e ci ripenso. C’è qualcosa di conosciuto in questo darsi i propri vestiti usati. Mia madre ha conservato per molti anni abitini che ho messo quando ero bambina. Non sono andati persi. La piccola li ha usati. Poi insieme mia madre e mia figlia mi hanno convinto a conservare queste cose per la figlia della piccola. Quando arriverà avrà un sacco di cose carine. Ma non è l’unico caso. Abbiamo un giro di vestiti pazzesco. Quelli della piccola, che non dovranno arrivare a sua figlia, finiscono alla cuginetta. Quelli di Gianfranco ad un amico. Quelli dei figli di mia sorella arrivano a casa mia. L’uscita di scena dalle nostre case è Elisabetta, la tata della piccola, quando si decide che qualcosa ha proprio fatto il suo tempo le viene consegnato e lei provvede a distribuirlo sulla base della sua saggezza.

Insomma mi libero del superfluo. Poi mia sorella mi scrive una mail: “La madre di Mary è purtroppo finita. Oltre a delle mantelle, mi sono state regalate alcune bellissime borse di coccodrillo. Ho deciso di dartene una. Ti do quella nera e io mi tengo quella a bauletto (che ho dato a mamma per una piccola revisione). Anche quella che do a te andrebbe un po' revisionata e magari si potrebbe far aggiungere una catenella per metterla sulla spalla. Sono bellissime e tutto sommato in buone condizioni”. Le rispondo prima che mi venga recapitata una di queste meraviglie: “Grazie, ma io poi quando la uso. Tienila tu, per me non credo sia adatta. Invece mi potresti regalare una delle mantelle, che certamente è più vicina al mio stile di vita. che dici?” Insomma mi libero del superfluo per accumularne altro. Ancora più vecchio.

E penso al libro da mettere in questa piccola storia. Cammino nel corridoio e l’occhio mi cade su “Scuorno”, ossia vergogna, di Francesco Durante. E decido di metterlo qui. Perché è un bel libro, perché ci sono un milione di connessioni ed anche perché sono mesi che Gianfranco ed io cerchiamo disperatamente “Italoamericana. Storia e letteratura degli italiani negli Stati Uniti 1776-1880” proprio di Durante. Magari metterlo qui ci porta bene e qualcuno che vuole liberarsene mi scrive per passarlo appresso e fargli fare un giro come accade agli abiti usati tra noi donne della mia famiglia.

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