lunedì 6 ottobre 2008

Cernobbio. Incontri e scambi lungo il lago sotto il cielo di settembre.

“Ma l’hai vista com’è vestita”. Ed io “Sai le americane hanno ancora il coraggio di vestirsi di rosa, mettono farfalline tra i capelli e riescono ad avere la forza evocativa degli anni ‘50”. Il mio interlocutore è stanco “Io me ne vado, non vedo l’ora di togliermi le scarpe. Ora qui cambia del tutto l’atmosfera. La cena di gala, i fuochi d’artificio e tutto il resto non sono per me”. Io invece resto. Voglio vederlo fino in fondo l’happening. E’ la tre giorni Ambrosetti, che riunisce dopo la pausa estiva quelli che contano e quelli che vorrebbero contare a Villa d’Este a Cernobbio. E’ un grande palcoscenico di incontri e di scambi. Meglio è l’appuntamento di tanti mercati. E lungo il lago sotto il cielo di inizio settembre vedi all’opera al meglio mercanti di idee, di scenari, di presente e futuro, di immagine, di politica, di economia e di molto altro.

Le cose cambiano. Mai come quest’anno le donne cominciano davvero ad apparire in posizioni diverse. C’è la signora sindaco tosta e la leader delle imprese. Poi certo ci sono anche le americane vestite di rosa e quelle che per il galà si mettono carine e molto scollate. Al solito la vita ti sorprende. Quelli che pensavi fossero seri e un po’ tristi sono invece simpatici e divertenti. Qualche uomo politico arriva con la fidanzata e diventa vittima e vedette per il dato sentimentale. Che poi in fondo sarebbe l’unico su cui si dovrebbe sospendere il giudizio e farsi gli affari propri. Lo scenario è da favola. Villa d’Este un incanto, una casa principesca tra prati e giardini curatissimi. Bella la piscina coperta, splendida quella scoperta, una penisola agganciata alla riva con l’acqua più blu rispetto al tono più cupo del lago.

Il vice presidente americano, Dick Cheney, arriva con una scorta da parata. I più vecchi fra i frequentatori raccontano a cadenza periodica ravvicinata dei bei tempi andati, quando arrivava in elicottero l’Avvocato. Certo la tre giorni è un prodotto dell’ingegno. Duecento persone o poche di più – gli ospiti di serie A – pagano 10mila euro per stare tre giorni in una stanza e sentire gli interventi più diversi. Poi ci sono contatti, relazioni, scambi, incontri. La genialità è nel vendere ad ognuno ciò che vuole e rendere la cosa esclusiva e d’elite. Poi ci sono gli ospiti di molti altri livelli e tutto il contorno.

Avevo pensato molto a che libro portare con me, perché in fondo un libro è un amico che ti può dare una mano a staccarti dalla realtà in queste full immersion totalizzanti. Una specie di smaterializzatore che ti scaraventa da un’altra parte. La scelta era caduta su “Una nuova terra” – “Unaccustomed Earth” – di Jhumpa Lahiri. L’India e gli States connessi dal filo rosso di gente che lascia la propria terra e ne trova un’altra. Molte le ragioni della scelta. Lei è bellissima e fascinosa nella foto in terza di copertina. In più gli indiani non mi avevano mai deluso. Terza ragione: da 3 o 4 anni diventa sempre più forte la voglia di mettere piede in India. E poi avevo letto molto del libro. Per gli americani un successo.

La mia scelta non è stata felice. Buoni gli spunti e la partenza, ma poi qualcosa si perde sempre per strada. O non mi raggiunge. Non c’è mai un colpo d’ala, una sorpresa, un affondo, uno stravolgimento. Anche la storia più strutturata – quella che a un certo punto fa tappa a Roma – si potrebbe non raccontare. O meglio è come se non fosse stata raccontata. E non ti sorprende. Mai.

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