giovedì 28 agosto 2008

Dissonanze all’enoteca Pinchiorri. E anche l’eccellenza può diventare simpatica.

Sì, vado alla toilette. Perché come fai a essere in un posto così e a non andare a vedere come sono i bagni. E allora vado. Il bagno delle signore è perfetto come ci si aspetterebbe. Saponi, asciugamani, specchi. Poi mi guardo intorno e lo vedo. Sotto una testa di cavallo di vetro/cristallo spicca in tutta la sua umana dissonanza un centrino tondo lavorato all’uncinetto. Ora non so che rapporti abbiate voi con i centrini, ma i miei sono pessimi. Preferisco educatamente astenermi dall’esprimere la mia vera opinione su questi oggetti. E’ la prova del nove. L’enoteca Pinchiorri mi piace proprio. Perché certo si mangia divinamente e si beve meglio. Poi, quando meno te l’aspetti, cade il sipario e il luogo dell’eccellenza diventa molto umano, con qualcosa di discutibile che rende simpatica anche l’eccellenza. E’ il centrino tondo in bagno sotto la testa di cavallo.

Stesso discorso per le ciabatte da casa di quella grande artista della chef Annie Feolde. Le donne cucinano a casa e i grandi chef in genere sono uomini, ma all’enoteca Pinchiorri chi detta legge è una soave signora che si capisce nasconde sotto il suo vezzoso accento francese la capacità di comando di un generale di corpo d’armata. La cena era di rango e dunque la signora fece un’uscita di rito. Saluti e frasi convenzionali. Fresca di parrucchiere – con una vaga nota tacheriana nell’acconciatura – vestita con semplice eleganza, la signora generale di corpo d’armata ha raccontato la sua battaglia. Ad un certo punto perse le stelle Michelin. Ha impiegato anni per riconquistarle, ma ce l’ha fatta. Poi la guardo bene, dalla testa ai piedi e dei piedi alla testa e vedo le ciabatte. Non comode scarpe da casa, ma ciabatte-ciabatte da massaia per combattere meglio la battaglia delle stelle Michelin. E come fai a non perdere la testa se hai anche mangiato benissimo e bevuto magnificamente?

Mi torna in testa “Il talismano della felicità” di Ada Boni. Perché è un ricettario. Perché si parla tanto di economia della felicità, di ricerca della felicità e allora è più che giusto declinare il tema a tavola. Infine perché anche Concetta – la tata che circolava a casa di mia nonna – lo comprava e lo regalava quando si sposavano le mie zie giovani. Non credo abbia mai comprato altri libri nella sua vita. Il messaggio era più o meno: “E’ bene che in casa ci sia un modo per cucinare qualcosa di proprio molto buono, almeno ogni tanto”.

Nessun commento: