sabato 30 agosto 2008

Arafat in 20 metri quadri. Tarek è a pranzo da noi.

“Sai la stanza non era più grande di questa cucina, 20 metri quadri. Forse più piccola. Un letto, un armadio, le sue cose, un vestito scuro stirato. Poi ho visto la sua kefia. Come può commuoverti una piccola cosa…più di una fotografia…più di una storia…”. Tarek racconta e racconta. Mangiamo in cucina pasta al pesto fatta al volo da Gianfranco. E’ tanto che non ci vediamo. Ha passato molto tempo in Palestina nell’ultimo anno. “Mi hanno fatto entrare per amicizia. Arafat significa tanto. Era la stanza dove alla fine viveva. Povera, scarna e anche piccola. E lui stava lì”.

Il filo del suo discorso collega momenti e luoghi diversi. “E poi sono stato a Gerusalemme. Il Santo Sepolcro. Sapete la storia delle chiavi? Sono da secoli custodite da due famiglie mussulmane neutrali. Si dice che abbiano avuto l’incarico dal Saladino. Ogni sera si chiude e ogni mattina si riapre. Io con voi mi sarei fatto chiudere dentro per passare la notte lì”.

Tarek è più occidentale di me. Resta un ingegnere, anche se ormai è soprattutto un direttore della fotografia. E poi è tunisino, quindi francofono, con una logica cartesiana che guida la connessione dei suoi tasselli. Ma è anche un uomo arabo. C’è in lui questo parlare e raccontare e attardarsi sulle cose e emozionarsi e commuoversi e arrabbiarsi e riprendere un altro filo e ricominciare.

Tarek è metropolitano come pochi. Vivere in un piccolo centro pensa che in fondo sia sempre temporaneo. Non si può che tornare in un ambiente naturale, ossia una metropoli. Secondo lui è normale vivere solo in una grande città, possibilmente in centro. Ma mi ricordo il paese da cui veniva la sua famiglia. Struggente, non lontano dal mare, in una campagna tunisina arcaica e verde quando ci misi piede io. E lo zio anziano, pater familias nella casa antica. E la vecchia zia rimasta al paese vestita in abiti tradizionali con tutti i gioielli indosso – “Li ho sempre usati tutti i giorni per fare tutto” – che copriva il televisore con una coperta per proteggerlo. Guardando i gioielli della zia e il loro uso quotidiano avevo finalmente capito che le cose preziose andavano usate sempre per tradizione. Le strade dei bazar dedicate ai bracciali d’oro sono il luogo dove comprare una forma di protezione. Perché ti sposi, ti regalano tanti cerchi d’oro, che puoi senza problemi portare addosso. Se succede qualcosa puoi fuggire con tutti i tuoi beni, che possono comunque tornarti utili.

Tarek è Voltaire e un pezzetto di Mille e una notte. E poi a un certo punto si arriva in qualche modo a parlare anche d'amore. E mi torna in mente “Il lato oscuro dell’amore” di Rafik Shami, siriano di Damasco ma ormai anche tedesco. Shami si è laureato in chimica ad Heidelberg e dagli anni ’70 vive in esilio in Germania.

1 commento:

rougie ha detto...

bello questo profumo d'oriente...