sabato 19 luglio 2008

Prima della pioggia. Una mattina in Valtellina. L’iniezione di energia di andare in giro in elicottero.

“Non hai altro modo per essere lì. Prendi un elicottero all’aeroporto di Montichiari. Poi, visto che devi essere in serata a Roma, torni sempre in elicottero a Linate. Da qui prendi un normale aereo di linea”. Il mio viaggio di lavoro è presto definito. Quello che non mi avevano detto è quanto mi sarebbe piaciuto girare nei cieli con quella specie di utilitaria che è un elicottero. Perché un aereo, anche piccolo, ha qualcosa di nobile. Un elicottero – magari è anche più snob nella sostanza – ma standoci dentro ti dà un’idea di normalità. Ti senti come in una cinquecento. Sotto a distanza ravvicinata la terra. Intorno il cielo. Ma non quello lontano e sconosciuto, il cielo normale, quello dove volano gli uccelli piccoli.

Da Montichiari a Sondrio sarebbero dovuti essere 30 – 35 minuti, ma ci abbiamo messo di più perché abbiamo cambiato strada. In un primo momento si pensava di passare le montagne, ma il tempo era pesto, con troppe nuvole. Siamo scesi, passati per Lecco ed abbiamo imboccato la valle. Girare in elicottero è come seguire una mappa. In più c’è il sole o la pioggia, le case, i fiumi, i prati e gli alberi, le macchine sotto.

In aereo si deve seguire una rotta, in elicottero ci si muove a vista. All’andata il pilota aveva con se un navigatore, un collega con una normale carta geografica sulle gambe e una riga per le distanze. Una cosa molto artigianale, come quando io dico la strada a Gianfranco in macchina. Al ritorno da Sondrio a Linate chi guidava era solo. Siamo partiti che pioveva, ma conosceva talmente bene la strada che avrebbe potuta farla dormendo. “Da Sondrio a Linate si possono fare due strade. Noi abbiamo seguito il fiume. Si fa prima ed è più bello”. Il pilota del ritorno lo racconta come se parlasse delle strade intorno casa. Quelli che portano gli elicotteri sono un capitolo a parte. Hanno quest’aria da ex ragazzi, capelli un po’ lunghi brizzolati, avventurosi ma familiari.

Insomma il risultato è stato che tornata a casa ero talmente carica di energia positiva che non ho potuto far a meno di ripartire. Perché ero stanca ma troppo gasata, con tutta questa luce negli occhi e tutta quest’aria che ancora mi girava intorno. E allora con Gianfranco e la piccola siamo andati in campagna anche se era sabato notte. Lontani dalla città. Alla ricerca di un po’ di fresco e di aria profumata.

Poi lunedì apro il giornale e scopro che ho fatto un giro prima della pioggia vera. Maltempo, due morti. Valtellina isolata. Evacuate 250 persone. Ma quando io ero lassù era bellissimo. E nulla faceva immaginare ciò che sarebbe successo. Più o meno come nei libri di Matilde Asensi (http://it.wikipedia.org/wiki/Matilde_Asensi), una dei nuovi spagnoli che va tanto. Cominci ed è tutto molto reale. Poi piano piano prendi una strada che ti sembra normale, ma lascia molto presto il campo del possibile. Non sai nemmeno come accade e sei quasi nel fantasy. Dopo un necessario percorso iniziatico, con “L’ultimo Catone” arrivi a incontrare i guardiani della Vera Croce, che vivono pacifici e felici per i fatti loro. “Nell’origine perduta” sei nella foresta amazzonica sulle tracce dell’antica lingua perfetta che ha una struttura simile al linguaggio informatico. In “Tutto sotto il cielo”, invece, trovi la tomba di Qin Shi Huangdip. E nulla faceva immaginare ciò che sarebbe successo. E che tu ci saresti stato al gioco.

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