sabato 31 maggio 2008

Muratori. E scrittori italiani d’altrove

“Mancia, mancia”. Petteri lo dice solo ai due ospiti muratori polacchi. A noi altri offre in silenzio la carne che ha appena finito di cuocere sul barbecue. Serata calda, estiva a Bruxelles. Siamo ospiti di Petteri e Renata. Mangiamo in giardino mentre i bambini giocano, pasticciando con l’acqua, la terra e le parole. Non so perché proprio “mancia, mancia”. Ma per me il suono rende. Petteri è un grande padrone di casa. D’altra parte è finlandese. Secondo me i finlandesi sono veri professionisti nell’arte di ospitare e in quella di bere. Come dire, se si è ospiti di un amico finlandese meglio essere buoni bevitori per apprezzare davvero.

Insomma serata perfetta. E poi c’è Renata – italiana di Sezze Scalo e moglie di Petteri – che aggiunge la giusta dose di Mediterraneo. Intorno alla tavola, oltre ai padroni di casa e agli invitati normali come noi, special starring i due muratori polacchi. Sono graditi ospiti full board di Petteri e Renata, ultima spiaggia per avere un tetto rifatto a mestiere. Seduti all’estremo del tavolo, bevono professionalmente e parlano tra loro. Molto distinti, i due muratori polacchi. Sarà il tratto, ma spesso i polacchi hanno una vaga aria da principi decaduti. Petteri e Renata sono dovuti ricorrere a loro, chiamandoli dalla Polonia. “Abbiamo avuto un sacco di problemi con questi lavori e allora abbiamo deciso di chiamarli”. Renata la racconta così la storia di questa coabitazione. Muratori, muratori. C’è un filo rosso che lega i muratori del mondo. Per cominciare vengono spesso da altrove.

Expo 2015 a Milano. Ci lavoreranno migliaia di muratori che verranno da altri Paesi. Uno dei problemi sarà come gestire questo flusso, cominciando dall’impatto con le popolazioni indigene. Un’altra questione sarà cosa fare se chi viene volesse poi restare.

E poi i muratori d’oggi sono uguali e diversi da quelli di ieri. Me la ricordo ancora l’inchiesta di un po’ di tempo fa sull’uso della coca per lavorare di più. La droga borghese per eccellenza diventa mezzo per essere muratori d’assalto.

E ancora, muratori italiani ma d’altrove. O anche muratori di passaggio da una vita ad un’altra. Come uno dei protagonisti di Alan Custovic nel suo libro “Eloì, Eloì”. Alen d’altra parte è uno scrittore italiano ma bosniaco. Avevamo collaborato per motivi di lavoro. Avevamo parlato molte volte, ma non ci eravamo mai scambiati idee che non fossero legate al dato professionale. Poi un giorno trovo la sua mail. “Qui Alen Custovic, giornalista del Metropoli. Ti volevo comunicare che lo scorso inverno, con il mio primo romanzo, ho vinto un premio letterario”. E mi allegava anche qualcosa (
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=222546 ) perché potessi farmene un’idea. Compro il libro e lo sto leggendo. Prima impressione: profondo e forte, bosniaco e milanese. I muratori italiani e d’altrove abitano molte sue pagine. Ma c’è molto di più. Il coraggio di riconciliarsi e la forza di credere.

lunedì 26 maggio 2008

Leggende di famiglia e Storia d’Italia. Parabita e il brigante Lo Sturno. Una guerra civile dimenticata.

Mio padre parla piano. “Quando ero bambino a casa mia si diceva sempre che noi avevamo radici anche a Parabita, in Salento. In realtà dalle ricerche di tuo fratello non risulta. Devo dire che forse un collegamento con la Puglia lo abbiamo. Almeno secondo Alfredo - te lo ricordi vero? - quel mio cugino che ha scoperto il paranormale e le sedute spiritiche dopo una vita regolata dalla logica. In una delle sue sedute ha saputo che uno dei nostri avi era un cardinale di quella che oggi si chiama Manduria. Effettivamente si è poi scoperto che esiste un ritratto di questo personaggio con evidenti richiami alla nostra famiglia. Insomma se ti trovi in Salento fai un salto a Parabita e dimmi che ti pare”. Mio padre, al solito, sintetizza in poche battute quattro o cinquecento anni di storie e leggende familiari. In ogni caso trovandomi in Salento a fine a aprile non ho potuto fare a meno di andare a Parabita.

Una scoperta. Un borgo nobilissimo, un castello, palazzi ricchi ed eleganti, vicoli stretti e mura bianche. E poi, alla ricerca di conferme per evanescenti storie familiari, in un antro di un antico palazzo scopro il laboratorio del professor Aldo D’Antico. E’ un piccolo centro di studi e di ricerche. D’Antico avrà una settantina d’anni e l’energia intelligente di chi non si placa. Il professore ha messo su una piccola biblioteca e con l’aiuto di alcuni ragazzi si impegna per valorizzare la ricchezza culturale locale. Mi informa che effettivamente c’è un’antica famiglia con un cognome simile al mio. E poi c’è anche un magnifico palazzo - di cui il professore ci tiene a dirmi si vende il piano nobile per una cifra a suo avviso ragionevolissima – ed anche una masseria fortificata acquistata da poco da un forestiero.

Metto insieme tutti i documenti che darò a mio padre e per me finisce lì. Gianfranco invece stabilisce un contatto ancora più ricco di suggestioni. “E questo cos’è, professore?” Ha preso in mano un piccolo libro a firma Aldo D’Antico. “E’ la storia di Lo Sturno, brigante e galantuomo. Era arrivato ad essere sottufficiale dell’esercito borbonico, non poco per un contadino venuto dal nulla. All’arrivo dei piemontesi si dà alla macchia, continuando a vestire la divisa. Molte le avventure e i colpi di mano, ma non ha mai ucciso né praticato le regole della violenza spietata. Alla fine viene preso. Sette anni di galera e uno ai lavori forzati. Scontata la pena, poco prima di essere liberato, viene trovato morto. In genere era questo il modo per liberarsi dei briganti che nonostante tutto riuscivano a sopravvivere. Una buona dose di veleno alla fine della condanna e la questione era chiusa. E poi c’erano le brigantesse. Ma questa è un’altra storia”.

Andiamo via e Gianfranco ha avuto in regalo il piccolo libro. Le storie di briganti lo hanno sempre colpito. “E’ stata una vera guerra civile – mi dice – una tragedia misconosciuta e dimenticata. Non ho le idee chiare di come sia andata qui in Salento, ma per esempio in Lucania ne hanno massacrati veramente tanti. Una storia sconosciuta e nascosta”. E mi viene in mente il bel libro di Gaetano Cappelli, ‘Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo’, dove quell’arpia della moglie del protagonista riesce a raggiungere il successo con storie di briganti.

A casa mia non si è mai parlato troppo di briganti, ma si è sempre saputo che noi in quella storia eravamo dalla parte di chi ha perso. Anche dei briganti. Il trisavolo Francesco, quando tutto era perduto, provò senza successo un colpo di stato a favore dei Borboni. Almeno credo. Chiedo conferma a mio padre, che precisa “il tuo trisavolo Francesco, già avvocato del Re (Dio guardi!), dopo l'invasione garibaldese non "tentò un colpo di stato" (sarebbe stato un po' troppo!) ma partecipò alla congiura legittimista del barone Cosenza. Per questo fu anche arrestato e imprigionato nelle carceri di San Francesco a Napoli”. Il trisavolo Francesco guarda tranquillo il trascorrere dei nostri giorni dalla parete del salotto dei miei genitori. E ci tiene compagnia.

venerdì 16 maggio 2008

Phineas e Ferb – Dieci minuti di cartoon con la piccolina per star contenti tutta la mattina

“Dai mamma vieni, sta cominciando. C’è la puntata dell’esverno, quella in cui riescono a creare montagne di granatina per avere il meglio dell’inverno in estate. Non te la puoi perdere (http://video.aol.com/video-detail/phineas-and-ferb-swinter/234624101)”. “Arrivo. Sto preparando la colazione. Appena è pronto il caffè sono da te”. Mattina, 7,30, mentre nelle altre case si corre noi ci regaliamo almeno dieci minuti tutti per noi. Prima di uscire la piccola ed io guardiamo insieme una puntata di Phineas e Ferb. I nostri eroi sono due geniali fratelli messi insieme dal destino di famiglia allargata. Il più piccolo, Ferb, è inglese e passa le vacanze con Phineas, vero leader folle, e con Candice, la sorella adolescente che punta a far scoprire sul fatto i due ragazzi senza mai riuscirci. Poi c’è Perry, l’animale domestico dei nostri due amici, che è un ornitorinco dalla doppia vita. E’ infatti un agente segreto che combatte senza esclusione di colpi contro il perfido scienziato Dr. Doofenshmirtz. Completano il quadro la madre, il padre e Isabella, la vicina di casa che è a capo delle Fireside Girls, un gruppo di ragazzine pestifere.

Phineas e Ferb hanno avventure travolgenti (www.divertimento.it/articoli/2008/01/31/phineas-e-ferb.1643813.php - 55k). Riescono a costruire montagne russe altissime, a diventare pop star in una notte, a costruire una spiaggia nel giardino di casa e a viaggiare nel tempo. A questo si aggiungono le mirabolanti vicende di Perry e il Dr. Doofenshmirtz. Insomma ci fermiamo a goderci lo spettacolo. Da qualche giorno anche Gianfranco si unisce a noi. Ha scoperto di avere una vera passione per lo scienziato pazzo e per Perry l’ornitorinco agente segreto.

A proposito di ornitorinco, vedo che c’è grande interesse per questo animale – chimera. Certo è strano parecchio. Ha la pelliccia, allatta i piccoli ma depone le uova, ha le zampe al lato del corpo come un coccodrillo, il becco di un’anatra ma morbido e flessibile, la coda di un castoro e uno sperone velenoso sulle zampe di dietro. E così è normale che la rivista Nature gli dedichi un articolo con i risultati di uno studio con cui è stato verificato come sono mixate le caratteristiche di rettili, uccelli e mammiferi. Non mi sarei però mai aspettata che il quotidiano Repubblica gli dedicasse una pagina intera. Non sarà che Perry sta lavorando per i suoi?

In ogni caso, tornando a Phineas e Ferb, ormai un po’ di tv prima di uscire la guardiamo in tre. Il bello è che ci divertiamo davvero. Un’iniezione di buon umore che ci portiamo dietro tutta la mattina insieme alle canzoni della puntata. (per esempio
http://video.aol.com/video-detail/phineas-and-ferb-gitchi-gitchi-goo-i-love-you/132243003).

Nel tentativo di trovarci anche una morale ho detto alla piccola che i due ragazzi riescono a fare tante cose eccezionali perché d’inverno studiano un sacco di matematica. Per esempio le ho fatto vedere un bel libretto sulla magia dei numeri – Il mago dei numeri di Hans M. Enzenberger - per allettarla. Le ho detto che è ancora troppo piccola per leggerlo. Spero di riuscire ad affascinarla. Cerco anche qualcosa di ancora più divertente per giocare con la matematica. Poi conto molto su Phineas e Ferb.

martedì 6 maggio 2008

Fatto in Cina? No a Napoli

“Simone sempre senza scarpe… Vuole giocare con sorella.” Ed io “Fa bene. Ai bambini fa veramente bene camminare scalzi.” Simone è un piccolo ercolino cinese di tre anni o poco più. Scorrazza pacifico a piedi nudi nel negozio di scarpe dove sua madre sta alla cassa, serve, organizza la merce. Siamo entrati tutti e tre: Gianfranco, la piccola ed io, perché Simone è riuscito a convincerci. Il suo obiettivo è giocare con la piccola. E la madre “Simone vuole giocare con sorella e palla”.

E’ una donna simpatica la madre. Avrà trent’anni. Parla poche parole di italiano, ride spesso ed è un mago nel farsi capire. Riesce a comunicare in maniera fantastica con un nulla. Continua a chiamare la piccola “sorella” parlando con Simone. Lo dice bene, in maniera giusta. Come lo dicono le donne in Africa. O come al Sud i bambini dicono zia. “Sorella” è un modo normale per definire una bambina di sei anni per un piccolino di tre.

“Quasi quasi prendo questi sandali”. Gianfranco ha trovato qualcosa che può interessargli. “Quanto costano?” “O poco. Solo 14 euro.” “Ma dove sono fatti? In Cina?” “Cina? No, fatti a Napoli.” La risposta della donna è accompagnata da un’espressione del tipo: “Ma come ti può venire in testa fatti in Cina”. Napoli, poi, è detto come se fosse casa. Mi era già capitato ad un banco di indiani. Il copripiumino era bellissimo. L’aria d’oriente era forte. Fasce di stoffa rosso scuro si alternavano con quelle d’oro cupo. Anche in questo caso avevo chiesto: “Fatto in India?” E la risposta era stata “Ma no, fatto a Napoli”. Perché diciamocelo Napoli è una delle grandi città di Cindia, il mitico Paese che ha in sé la forza della Cina e dell’India.

La donna ha un’aria veramente simpatica. Guarda la piccola e mi chiede: “Quanti anni? Quanto alta?” Ed io “Ha sei anni, non ho idea di quanto sia alta”. Dev’esserci qualcosa che vuole scoprire perché mi chiede: “Quanto porta di scarpe?” “Questo lo so, porta 34”. E lei “Allora più alta di mia figlia. Anche lei sei anni. Non vedo da quattro”. E così ha lasciato a casa con sua sorella una figlia. Aveva solo due anni quando è andata via e non la vede da quattro anni. Non sa quando potrà riabbracciarla. E’ una donna allegra e forte. Racconta tutto questo mettendo a posto una scarpa, fermando Simone che si sta arrampicando su di una pila di scatole e servendo altri clienti. “Tu solo questa figlia?” “Sì solo questa”. “Devi fare altro”. Parliamo di figli e di scarpe. Normalmente. Gianfranco compra quello che ha scelto. Poi tra le proteste di Simone andiamo via.

Chissà quanto devo aspettare per contare come in UK su di una voce autoctona di altrove. Magari su di uno scrittore cino-napoletano. Forse poco. Mi piacerebbe leggere il libro di Simone e il racconto della sua infanzia nel negozio di scarpe. Ho appena finito Turismo di Nirpal Singh Dhaliwal. Da leggere. Divertente e intelligente. Lui è un vero scrittore inglese. Che sia anche indiano non intacca la sua britannicità. Il libro è pieno di sesso. Ma più Lawrence che Kama Sutra. O forse il Kama Sutra visto da Lawrence.